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Al levarsi della tela, Nono Giuncano, di qua dalla tenda, fosco, irrequieto, siede su uno sgabello, aspettando che la «posa» di là abbia fine.
Ha circa sessant’anni. Corporatura poderosa. Barba e capelli bianchi, scomposti. Viso macerato, ma occhi giovanissimi, acuti. Veste di nero.
Tuda (dietro la tenda in posa). Basta, per carità!
Sirio (anche lui dietro la tenda). No: ferma lí!
Tuda. Non reggo piú!
Giuncano. Ma sí, basta! basta!
Sirio. Ferma ti dico! Non è passata l’ora.
Tuda. È passata, è passata!
Sirio. Ancora un momento!
Tuda. Non ne posso piú.
Sirio (con un urlo). Fermo quel braccio, perdio!
Lunga pausa. Giuncano smania feroce.
Tuda (prima con un sorriso quasi infantile). Ahi, non me lo sento piú! Lasciamelo abbassare almeno per un minuto. Sono di carne, oh!
Si vedrà l’ombra scomporsi dal suo atteggiamento; abbassare il braccio; prenderselo con l’altra mano come a sorreggerlo.
Sirio (alto, biondo, viso pallido, energico, occhi chiari, d’acciajo, inflessibili, quasi induriti nella crudele freddezza della loro luce, viene fuori dalla tenda, buttando con fracasso la stecca. Ha indosso un lungo càmice bianco, stretto alla vita da una cintura. Investe Nono Giuncano). Ma possibile ch’io debba lavorare cosí, con te qua che la istighi a ribellarsi, invece di persuaderla a star ferma?
Giuncano. Uccidila, uccidila: starà fermissima!