Enrico IV. Dico che siete sciocchi! Dovevate sapervelo fare per voi stessi, l’inganno; non per rappresentarlo davanti a me, davanti a chi viene qua in visita di tanto in tanto; ma cosí, per come siete naturalmente, tutti i giorni, davanti a nessuno
a Bertoldo, prendendolo per le braccia,
per te, capisci, che in questa tua finzione ci potevi mangiare, dormire, e grattarti anche una spalla, se ti sentivi un prurito; rivolgendosi anche agli altri: sentendovi vivi, vivi veramente nella storia del mille e cento, qua alla Corte del vostro Imperatore Enrico IV! E pensare, da qui, da questo nostro tempo remoto, cosí colorito e sepolcrale, pensare che a una distanza di otto secoli in giú, in giú, gli uomini del mille e novecento si abbaruffano intanto, s’arrabattano in un’ansia senza requie di sapere come si determineranno i loro casi, di vedere come si stabiliranno i fatti che li tengono in tanta ambascia e in tanta agitazione. Mentre voi, invece, già nella storia! con me! Per quanto tristi i miei casi, e orrendi i fatti; aspre le lotte, dolorose le vicende: già storia, non cangiano piú, non possono piú cangiare, capite? Fissati per sempre: che vi ci potete adagiare, ammirando come ogni effetto segua obbediente alla sua causa, con perfetta logica, e ogni avvenimento si svolga preciso e coerente in ogni suo particolare. Il piacere, il piacere della storia, insomma, che è cosí grande!
Landolfo. Ah, bello! bello!
Enrico IV. Bello, ma basta! Ora che lo sapete, non potrei farlo piú io!
Prende la lampa per andare a dormire.
Né del resto voi stessi, se non ne avete inteso finora la ragione. Ne ho la nausea adesso!
Quasi tra sé, con violenta rabbia contenuta:
Perdio! debbo farla pentire d’esser venuta qua! Da suocera oh, mi s’è mascherata... E lui da padre abate... —