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Dottore. Potremo sperare di riaverlo, come un orologio che si sia arrestato a una cert’ora. Ecco, sí, quasi coi nostri orologi alla mano, aspettare che si rifaccia quell’ora — là, uno scrollo! — e speriamo che esso si rimetta a segnare il suo tempo, dopo un cosí lungo arresto.

Entra a questo punto dalla comune il marchese Carlo di Nolli.

Donna Matilde. Ah, Carlo... E Frida? Dove se n’è andata?

Di Nolli. Eccola, viene a momenti.

Dottore. L’automobile è arrivata?

Di Nolli. Sí.

Donna Matilde. Ah sí? E ha portato l’abito?

Di Nolli. È già qui da un pezzo.

Dottore. Oh, benissimo, allora!

Donna Matilde (fremente). E dov’è? Dov’è?

Di Nolli (stringendosi nelle spalle e sorridendo triste, come uno che si presti mal volentieri a uno scherzo fuor di luogo). Mah... Ora vedrete...

E indicando verso la comune:

Ecco qua...

Si presenta sulla soglia della comune Bertoldo che annuncia con solennità:

Bertoldo. Sua Altezza la Marchesa Matilde di Canossa!

E subito entra Frida magnifica e bellissima; parata con l’antico abito della madre da «Marchesa Matilde di Toscana» in modo da figurare, viva, l’immagine effigiata nel ritratto della sala del trono.

Frida (passando accanto a Bertoldo che s’inchina, gli dice con sussiego sprezzante): Di Toscana, di Toscana, prego. Canossa è un mio castello.

Belcredi (ammirandola). Ma guarda! Ma guarda! Pare un’altra!

Donna Matilde. Pare me! — Dio mio, vedete? — Ferma, Frida! — Vedete? È proprio il mio ritratto, vivo!

Dottore. Sí, sí... Perfetto! Perfetto! Il ritratto!

Belcredi. Eh sí, c’è poco da dire... È quello! Guarda, guarda! Che tipo!