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Dottore (col sorriso di compatimento d’un competente verso gli incompetenti). Eh sí! Bisogna intendere questa speciale psicologia dei pazzi, per cui guardi si può essere anche sicuri che un pazzo nota, può notare benissimo un travestimento davanti a lui; e assumerlo come tale; e sissignori, tuttavia, crederci; proprio come fanno i bambini, per cui è insieme giuoco e realtà. Ho detto perciò puerile. Ma è poi complicatissimo in questo senso, ecco: che egli ha, deve avere perfettamente coscienza di essere per sé, davanti a se stesso, una Immagine: quella sua immagine là!

Allude al ritratto nella sala del trono, indicando perciò alla sua sinistra.

Belcredi. L’ha detto!

Dottore. Ecco, benissimo! — Un’immagine, a cui si sono fatte innanzi altre immagini: le nostre, mi spiego? Ora egli, nel suo delirio acuto e lucidissimo ha potuto avvertire subito una differenza tra la sua e le nostre: cioè, che c’era in noi, nelle nostre immagini, una finzione. E ne ha diffidato. Tutti i pazzi sono sempre armati d’una continua vigile diffidenza. Ma questo è tutto! A lui naturalmente non è potuto sembrare pietoso questo nostro giuoco, fatto attorno al suo. E il suo a noi s’è mostrato tanto piú tragico, quanto piú egli, quasi a sfida mi spiego? indotto dalla diffidenza, ce l’ha voluto scoprire appunto come un giuoco; anche il suo, sissignori, venendoci avanti con un po’ di tintura sulle tempie e sulle guance, e dicendoci che se l’era data apposta, per ridere!

Donna Matilde (scattando di nuovo). No. Non è questo, dottore! Non è questo! non è questo!

Dottore. Ma come non è questo?

Donna Matilde (recisa, vibrante). Io sono sicurissima ch’egli m’ha riconosciuta!

Dottore. Non è possibile... non è possibile...

Belcredi (contemporaneamente). Ma che!

Donna Matilde (ancora piú recisa, quasi convulsa). M’ha riconosciuta, vi dico. Quand’è venuto a parlarmi da vicino, guardandomi negli occhi, proprio dentro gli occhi m’ha riconosciuta!

Belcredi. Ma se parlava di vostra figlia...