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in contrasto con l’atteggiamento della persona che vuol essere d’umiltà pentita, tanto piú ostentata quanto piú sente che immeritato è quell’avvilimento. — Ordulfo regge a due mani la corona imperiale. Arialdo lo scettro con l’Aquila e il globo con la Croce.

Enrico IV (inchinandosi prima a Donna Matilde, poi al Dottore). Madonna... Monsignore...

Poi guarda il Belcredi e fa per inchinarsi anche a lui, ma si volge a Landolfo che gli si è fatto presso, e domanda sottovoce con diffidenza:

È Pietro Damiani?

Landolfo. No, Maestà, è un monaco di Cluny che accompagna l’Abate.

Enrico IV (torna a spiare il Belcredi con crescente diffidenza e, notando che egli si volge sospeso e imbarazzato a Donna Matilde e al Dottore, come per consigliarsi con gli occhi, si rizza sulla persona e grida): È Pietro Damiani! Inutile, Padre, guardare la Duchessa!

Subito volgendosi a Donna Matilde come a scongiurare un pericolo:

Vi giuro, vi giuro, Madonna, che il mio animo è cangiato verso vostra figlia! Confesso che se lui

indica il Belcredi

non fosse venuto a impedirmelo in nome del Papa Alessandro, l’avrei ripudiata! Sí: c’era chi si prestava a favorire il ripudio: il vescovo di Magonza, per centoventi poderi.

Sogguarda un po’ smarrito Landolfo, e dice subito:

Ma non debbo in questo momento dir male dei vescovi.

Ritorna umile davanti a Belcredi:

Vi sono grato, credetemi che vi sono grato, ora, Pietro Damiani, di quell’impedimento! — Tutta d’umiliazioni è fatta la mia vita: — mia madre, Adalberto, Tribur, Goslar — e ora questo sajo che mi vedete addosso.

Cangia tono improvvisamente e dice come uno che, in una parentesi di astuzia, si ripassi la parte: