toppo la rappresentazione, o per supplire a qualche manchevolezza del lavoro con chiarimenti e spiegazioni; il che (mi lusingo) vi renderà piú piacevole la novità di questo tentativo di recita a soggetto. Ho diviso in tanti quadri lo spettacolo. Brevi pause dall’uno all’altro. Spesso, un momento di bujo soltanto, da cui un nuovo quadro nascerà all’improvviso, o qua sul palcoscenico, o anche tra voi: sí, in sala (ho lasciato apposta, lí vuoto, un palco che sarà a suo tempo occupato dagli attori; e allora anche voi tutti parteciperete all’azione). Una pausa piú lunga vi sarà concessa, perché possiate uscire dalla sala, ma non a rifiatare, ve n’avverto fin d’ora, perché una nuova sorpresa vi ho preparato anche di là, nel ridotto.
Un’ultima brevissima premessa, perché possiate subito orientarvi.
L’azione si svolge in una città dell’interno della Sicilia, dove (come sapete) le passioni son forti e covano cupe e poi divampano violente: tra tutte, ferocissima, la gelosia. La novella rappresenta appunto uno di questi casi di gelosia, e della piú tremenda, perché irrimediabile: quella del passato. E avviene proprio in una famiglia da cui avrebbe dovuto stare piú che mai lontana, perché, tra la clausura quasi ermetica di tutte le altre, è l’unica della città aperta ai forestieri, con un’ospitalità eccessiva, praticata com’è di proposito, a sfida della maldicenza e per bravar lo scandalo che le altre se ne fanno.
La famiglia La Croce.
È composta, come vedrete, dal padre, Signor Palmiro, ingegnere minerario: Sampognetta come lo chiamano tutti perché, distratto, fischia sempre; dalla madre, Signora Ignazia, oriunda di Napoli, intesa in paese La Generala; e da quattro belle figliuole, pienotte e sentimentali, vivaci e appassionate:
Mommina,
Totina,
Dorina,
Nenè.
E ora, con permesso.