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questa sera si recita a soggetto | 233 |
sua, in tanto è vera creazione, in quanto è liberata dal tempo, dai casi e dagli ostacoli, senza altro fine che in sé stessa.» Sí, signori, io rispondo, è proprio cosí.
E tante volte, vi dico anzi, m’è avvenuto di pensare con angoscioso sbigottimento all’eternità di un’opera d’arte come a un’irraggiungibile divina solitudine, da cui anche il poeta stesso, subito dopo averla creata, resti escluso: egli, mortale, da quella immortalità.
Tremenda, nell’immobilità del suo atteggiamento, una statua.
Tremenda, questa eterna solitudine delle forme immutabili, fuori del tempo.
Ogni scultore (io non so, ma suppongo) dopo aver creato una statua, se veramente crede d’averle dato vita per sempre, deve desiderare ch’essa, come una cosa viva, debba potersi sciogliere dal suo atteggiamento, e muoversi, e parlare. Finirebbe d’essere statua; diventerebbe persona viva. Ma a questo patto soltanto, signori, può tradursi in vita e tornare a muoversi ciò che l’arte fissò nell’immutabilità d’una forma; a patto che questa forma riabbia movimento da noi, una vita varia e diversa e momentanea: quella che ciascuno di noi sarà capace di darle.
Oggi si lasciano volentieri in quella loro divina solitudine fuori del tempo le opere d’arte. Gli spettatori, dopo una giornata di cure gravose e affannose faccende, angustie e travagli d’ogni genere, la sera, a teatro, vogliono divertirsi.
Il signore delle poltrone. Alla grazia! Con Pirandello?
Si ride.
Il dottor Hinkfuss. Non c’è pericolo. Stiano sicuri.
Mostra di nuovo il rotoletto.
E confido d’avervi creato uno spettacolo gradevole, se quadri e scene procederanno con l’attenta cura con cui io li ho preparati, cosí nel loro complesso come in ogni particolare; e se i miei attori risponderanno in tutto alla fiducia che ho riposto in loro. Del resto, sarò io qua tra voi, pronto a intervenire a un bisogno, o per ravviare a un minimo in-