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Hinkfuss che ha aperto con violenza la porta d’ingresso e s’avanza iroso per il corridojo che divide nel mezzo in due ali le file della platea e delle poltrone.

Il dottor Hinkfuss. Ma che gong! Ma che gong! Chi ha ordinato di sonare il gong? Lo comanderò io, il gong, quando sarà tempo!

Queste parole saranno gridate dal Dottor Hinkfuss mentre attraversa il corridojo e sale i tre gradini per cui dalla sala si può accedere al palcoscenico. Ora egli si volta al pubblico, contenendo con ammirevole prontezza il fremito dei nervi.

In frak, con un rotoletto di carta sotto il braccio, il Dottor Hinkfuss ha la terribilissima e ingiustissima condanna d’essere un omarino alto poco piú d’un braccio. Ma se ne vendica portando un testone di capelli cosí. Si guarda prima le manine che forse incutono ribrezzo anche a lui, da quanto sono gracili e con certi ditini pallidi e pelosi come bruchi: poi dice senza dar molto peso alle parole:

Sono dolente del momentaneo disordine che il pubblico ha potuto avvertire dietro il sipario prima della rappresentazione, e ne chiedo scusa; benché forse, a volerlo prendere e considerare quale prologo involontario —

Il signore delle poltrone (interrompendo, contentissimo). Ah, ecco! L’ho detto io!

Il dottor Hinkfuss (con fredda durezza). Che ha da osservare il signore?

Il signore delle poltrone. Nulla. Sono contento d’averlo indovinato.

Il dottor Hinkfuss. Indovinato che cosa?

Il signore delle poltrone. Che quei rumori facevano parte dello spettacolo.

Il dottor Hinkfuss. Ah sí? Davvero? Le è parso che siano stati fatti per trucco? Proprio questa sera che mi son proposto di giocare a carte scoperte! Si disilluda, caro signore. Ho detto prologo involontario e aggiungo non del tutto improprio, forse, all’insolito spettacolo a cui or ora assisterete. La prego di non interrompermi. Ecco qua, Signore e Signori.

Cava da sotto il braccio il rotoletto.