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194 maschere nude


A Prestino:

— Chi sei tu? — Chi sono io? — Tutti quanti, qua? — Tu ti chiami Francesco Savio; io Diego Cinci; tu, Prestino. — Sappiamo di noi reciprocamente e ciascuno sa di sé qualche piccola certezza d’oggi, che non è quella di jeri, che non sarà quella di domani —

a Francesco:

tu vivi di rendita e t’annoi —

Francesco. no: chi te lo dice? —

Diego. non t’annoi? Tanto meglio. Io mi sono ridotto l’anima, a furia di scavare, una tana di talpa.

A Prestino:

Tu che fai?

Prestino. Niente.

Diego. Bella professione! — Ma anche quelli che lavorano, cari miei, la gente seria, tutti, tutti quanti: la vita, dentro e fuori di noi — andateci, andateci appresso! ènuna tale rapina continua, che se non han forza di resistervi neppure gli affetti piú saldi, figuratevi le opinioni, le finzioni che riusciamo a formarci, tutte le idee che appena appena, in questa fuga senza requie, riusciamo a intravedere! Basta che si venga a sapere una cosa contraria a quella che sapevamo, Tizio era bianco? e diventa nero; o che si abbia un’impressione diversa, da un’ora all’altra; o una parola basta tante volte, detta con questo o con quel tono. E poi le immagini di cento cose che ci attraversano di continuo la mente e che, senza saperlo, ci fanno d’improvviso cangiar d’umore. Andiamo tristi per una strada già invasa dall’ombra della sera; basta alzar gli occhi a una loggetta ancora accesa di sole, con un geranio rosso che brucia in quel sole e — chi sa che sogno lontano c’intenerisce a un tratto...

Prestino. E che vuoi concludere con questo?

Diego. Niente. Che vuoi concludere, se è cosí? Per toccare qualche cosa e tenerti fermo, ricaschi nell’afflizione e nella noja della tua piccola certezza d’oggi, di quel poco che, a buon conto, riesci a sapere di te: del nome che hai, di quanto hai in tasca, della casa che abiti: le tue abitudini,