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Siamo in casa di Francesco Savio, la mattina dopo; in una saletta di passaggio che dà su una spaziosa veranda, di cui il Savio si serve per tirarvi di scherma. Si vedranno perciò in essa, attraverso la grande vetrata che prenderà quasi tutta la parete di fondo della saletta, una pedana, una lunga panca per gli amici tiratori e spettatori, e poi maschere, guantoni, piastroni, fioretti, sciabole. Un tendone di tela verde, scorrendo sugli anelli dalla parte interna, tirato di qua e di là dall’uscio che sta in mezzo, potrà nascondere la veranda e appartare la saletta. Un altro tendone della stessa tela, sorretto da bacchette di ferro imbasate sulla balaustrata in fondo, escluderà la veranda dalla vista del giardino che si suppone di là da esso e che s’intravvederà un poco, allorché qualcuno, per scendervi, scosterà nel mezzo il tendone che cade anche sulla lunghezza della scalinata. La saletta di passaggio avrà per mobili soltanto alcune sedie a sdrajo di giunco laccato verde e due divanetti e due tavolinetti anch’essi di giunco. Due sole aperture: una finestra a sinistra e un uscio a destra, oltre quello che dà sulla veranda.
Al levarsi della tela si vedranno nella veranda Francesco Savio e il Maestro di scherma con le maschere, i piastroni e i guanti, che tirano di spada, e Prestino e altri Due Amici che stanno a guardare.
Il maestro. Allarghi, allarghi l’invito! — Attento a questa cavazione! — Bravo! Bella inquartata! — Attento ora: arresto! opposizione! — La finisca con codesti appelli, e lasci le finte! Badi alla risposta! — Alt!
Smetteranno di tirare.
Si leveranno le maschere.
Francesco. E basta. Grazie, Maestro.
Gli stringerà la mano.
Prestino. Basta, basta, sí!
Il maestro (levandosi il guanto e poi il piastrone). Ma vedrà