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Elena. Lui. Ve l’ho detto. Si riconcilia con voi. Lo faccia lui, per voi. Io resto con mia figlia.

Livia. Questo, vedete, se si trattasse di scegliere tra me e voi. Ma non si tratta di noi, come non si tratta di lui, del suo bene. D’un sacrifizio, qui si tratta, ch’egli non può fare...

Elena (interrompendo). E vorreste che lo facessi io?

Livia. Aspettate; dico che lui non può farlo precisamente come non potete farlo voi, finché vedete me, lui, voi stessa, il vostro affetto...

Elena. E come no? Il mio affetto... Non dovrei vedere il mio affetto per mia figlia?

Livia. Finché lo vedete, io dico, come un bene per voi, e non per vostra figlia; finché insomma non considerate questo sacrifizio, se quello del padre cioè o il vostro, sia piú utile per il bene, per l’avvenire della vostra bambina.

Elena. Ma che dite? Come c’entra questo? Mia figlia... E potrebbe mia figlia aver bene senza di me? Via! Lasciate stare la bambina, non mi parlate del suo bene! Voi volete riavere vostro marito. Dite cosí. Siate sincera!

Livia. Non pretenderei nulla, oltre quello che mi spetta, se mai. Ma non è vero, non lo pretendo, perché so di non poterlo pretendere, se egli ha qua con voi la figlia, che non può lasciare. Non è piú soltanto mio marito, per me, se poi è padre qua.

Elena. Ma io sono la madre!

Livia. Certo! E come voi amate la vostra figliuola anche lui la ama, e anche lui vorrebbe averla con sé, come volete averla voi. I vostri diritti sono pari, vedete? finché si parla di diritti. E appunto perché il suo è pari al vostro, egli deve stare con voi qua, dov’è sua figlia.

Elena. Perché stare con me? Può venire qua a vederla! Verrà per sua figlia. V’ho detto che non viene piú che per lei. Potete star sicura.

Livia. Potrei, sí, potrei anche star sicura. Ma vedete che cosí non si risolve nulla.

Elena. E che volete da me? Niente, allora! Non si risolve nulla. La bambina è qua. Se egli vuole, venga e la veda. Ma la bambina deve stare con me. Gliel’impedirete voi, non io!