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la ragione degli altri 1233


do una donna si riduce cosí... Non potete giudicare forse, perché non mi avete conosciuta prima... dico prima che tante sventure, un matrimonio disgraziato, la miseria, la morte di mio marito mi... mi distruggessero cosí... Ho potuto chiedere ajuto... ajuto di denaro, all’uomo che mi conobbe un’altra! Voi lo sapete...

Livia. Sí sí, so tutto.

Elena. Ch’ero stata sua fidanzata?

Livia. Sí.

Elena. E che ruppi io, allora, il fidanzamento? Io, per niente, per un puntiglio, per orgoglio... perché non tolleravo nulla. Ebbene, a tutti tranne che a lui avrei dovuto chiedere ajuto! Se l’ho chiesto a lui, signora, potete esser sicura che nulla piú di vivo poteva esserci in me, da farmi provare poi un piacere in ciò che, dall’incontro con lui dopo tanti anni, purtroppo è seguito. Come, io stessa non lo so. Forse perché ciò che fummo, rimane sepolto in noi. In un momento, dagli occhi che s’incontrano, può essere rievocato. Illusione d’un momento. Che gioja può dare ciò che è morto da tanto tempo, schiacciato sotto il peso dell’avvilimento, dei bisogni, della stanchezza? Tutto finito, quasi prima di cominciare. Se non si fosse dato il caso... la sciagura piú grande... quella bambina...

Livia. Ecco. La bambina.

Elena. Ma da un pezzo, vi dico, io stessa, tante volte, tante volte gli ho proposto di finirla.

Livia. E come? Avete ricordato la bambina. Come dite ora finirla?

Elena. Perché? Io non so... dico finirla, come si finisce... non vederci piú...

Livia. Ma dunque pretendete...?

Elena (subito). Nulla! Vi assicuro. Proprio nulla! Non pretendo nulla io...

Livia. Vi pare cosí. Ma come non pretendete nulla? Pretendete da lui, invece, l’impossibile.

Elena. Perché? Io non so... Se egli vuole...

Livia (pronta). Vuole... che può voler lui? Riconciliarsi con me? Questo sí, lo vuole. Ma voi appunto gliel’impedite.

Elena. No! io, no! Io, anzi...

Livia. Aspettate. Lasciatemi dire. Non pretendete da lui un