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la ragione degli altri 1231


Livia. Intendo l’agitazione, la pena che la mia presenza deve cagionarvi. Ma invece d’ispirarvi un sospetto che non regge — ve n’accorgerete — vi dicano la violenza che ho dovuto fare a me stessa per venire da voi.

Elena. Lo credo; ma potevate risparmiarvela, signora.

Livia fa cenno di no, col capo.

Sí, vi giuro; perché lealmente, vi giuro, io stessa...

Livia. Non basta. So quello che volete dire. Non basta. Ve lo farò riconoscere. Ma permettete... permettete ch’io segga...

Elena (premurosa, offrendole da sedere). Sí, ecco, sedete, sedete.

Livia s’abbandona a sedere; china il capo; si reca una mano alla fronte.

Voi soffrite...

Livia. Sí. A parlare sopratutto. È uno sforzo... come... come se a ogni parola mi si debba staccare il cuore...

Elena. Oh, comprendo...

Livia. Forse no. Lo sforzo è... perché non trovo piú... non sento come mia la mia voce... un tono che mi sembri giusto. Non potete intendere. Ho troppo... troppo taciuto; e, nel silenzio, troppo ascoltato la ragione degli altri... la vostra.

Elena. Ma io...

Livia. Non credetemi capace di prestarmi a rappresentare la parte che avete sospettato.

Elena (guardando verso l’uscio in fondo). Vedo che egli non ritorna...

Livia (colpita). Qua?

Elena. Sí, e vedo che siete venuta voi in vece sua...

Livia. Io l’ho visto uscire di qua, pochi momenti or sono.

Elena. Sí. Con una scusa. Proprio con una scusa; fingendo d’aver dimenticato di comperare un giocattolo alla bambina.

Livia. Ma dunque deve ritornare?

Si alza costernata.

Elena (con foga). No, no, state certa, state tranquilla, né ora né mai, signora! Non ritornerà piú! E da me non avrà piú nessuna molestia: potete dirglielo! E basta. Basta per me e per voi, signora.

Livia. Ma, Dio, ma questa agitazione mia, dunque, quello che ho finito or ora di dirvi, non vi tolgono ancora il so-