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Leonardo. Eh, sí, da una parte, almeno, per me...

D’Albis. Su, dunque! Va’ subito a far pace con tuo suocero. Quello è capace d’impartirti anche la santa benedizione. Lévagli di mano la valigia e spediscimelo dal Ruvo.

Leonardo. Tu scherzi, caro.

D’Albis. E tu mi fai rabbia! Io ho contato su te!

Leonardo. Se non hai altro santo, amico mio...

D’Albis. Ma perdio, pensa che ho pure fatto sacrifizii per te!

Leonardo. Credi, D’Albis, non posso. Le cose sono arrivate a tal punto, che non posso davvero.

D’Albis. Vuoi che t’ajuti io? Che mi metta io di mezzo per la pace?

Leonardo. No, che! Impossibile.

D’Albis. Oh va’ là! Non ho tempo da perdere coi matti! T’avverto intanto che... mi dispiace...

Leonardo. E va bene. Ho capito.

D’Albis. Se hai il gusto di rovinarti! Ti porgo la mano, per tirarti su: la respingi!

Leonardo. Come devo dirti che non posso?

D’Albis. E dunque, basta. Addio. Non ne parliamo piú. Resta... resta pure. So la via. Addio.

Leonardo, esausto, sfinito, accompagna automaticamente il D’Albis fino all’uscio in fondo; poi ritorna; s’avvicina alla scrivania, apre il cassetto, ne trae alcune carte. Entra Livia dall’uscio di sinistra.

Leonardo (quasi tra sé, stupito). Livia!

Livia. Mio padre t’ha detto di rimanere?

Leonardo. Mi ha detto che partiva.

Livia. Io vengo invece a dirti che, se a te non accomoda, puoi pure andare. Nessuno ti trattiene.

Leonardo. Sono venuto soltanto per raccogliere le mie carte.

Livia. Non intendi quello che voglio dirti. La risoluzione di mio padre non deve parerti un invito a rimanere qua.

Leonardo. Tu non mi trattieni. Ho inteso. So che hai cercato anche d’impedire ch’egli s’intromettesse. E ho fatto anch’io di tutto, credi, per sfuggire alla discussione, alle sue domande che mi stringevano, mi torturavano; senza voler capire, per quanto io gli dicessi, che quella discussione non