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farlo pentire. Egli mi conosce; e perciò non credo ancora... A ogni modo è meglio prevenire. Nell’interesse del giornale, e dunque nell’interesse anche di Leonardo...

Guglielmo. Scusi tanto. La richiamo ai patti.

D’Albis. Che patti?

Guglielmo. Le ho detto che desidero di non parlare di mio genero.

D’Albis. Ma ora si tratta d’affari...

Guglielmo. Non m’immischio negli affari di mio genero.

D’Albis. Anche quando, scusi, la condizione di lui potrebbe d’un tratto diventare tanto difficile che...

Guglielmo. No! niente, sa!

D’Albis. Le conseguenze...

Guglielmo. Ma se non voglio saperne!

D’Albis. Glielo avverto, mi dispiace, ma io mi vedrei costretto, senz’altro, a rinunziare alla sua collaborazione che non mi serve affatto.

Guglielmo. E lo dice a me? Ma contentissimo, caro signore!

D’Albis. Forse perché lei ignora...

Guglielmo. Non ignoro. Giusto, anzi, per questo! Non mi faccia parlare, la prego!

Si alza. Entra dall’uscio in fondo Leonardo, pallidissimo, sconvolto.

Eccolo qua, del resto, il signor Arciani. Se la veda con lui.

Leonardo. Caro D’Albis. Un momento di tempo. Il tempo di prendere dalla scrivania alcune carte, e andiamo via.

Guglielmo. Non ce n’è piú bisogno, sai!

Leonardo. Come dice?

Guglielmo. Dico che puoi restare, perché me ne vado via io. Parto fra mezz’ora, solo.

A D’Albis:

Caro signore, le auguro buona fortuna, e mi compiaccio d’averla conosciuta.

D’Albis. Ma parte davvero?

Guglielmo. Stavo a far le valige, quando lei è venuto. Non ho un momento da perdere.

A Leonardo guardandolo negli occhi: