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la ragione degli altri 1215


che vuoi! Mi ringrazi cosí d’aver tentato almeno di mettere le cose a posto?

Livia. Eh... Se avessi potuto metterle, a posto...

Guglielmo. Ma se tu mi leghi le braccia! Oh bella! Se mi dici che non devo far nulla!

Livia. Ebbene, guarda: vuoi andare a trovarlo, è vero? Che gli dirai? Tornerai a ragionare con lui. Ma per quante cose tu possa dirgli, né con la ragione, né con la forza potrai ottenere che egli abbandoni la figlia. Ripeto: qua, lui, figli, non ne ha. Dunque?

Guglielmo. Ma qua lui ha la moglie, perdio! Non rappresenti dunque nulla, tu?

Livia. Sí, la moglie, rappresentavo. Finché tu non l’hai messo al bivio: tra la moglie e la figlia. Se n’è andato dalla figlia, vedi.

Guglielmo. Oh, dunque. Tu vuoi ancora seguitare a soffrire, cosí, senza scopo? Bene, senti, cara, accòmodati! Io me ne vado. Ah, mi rivolta, capisci! questo spettacolo mi rivolta! Non posso sentirti parlare cosí! Non sarei sicuro di me. La mia casa è aperta, lo sai. Quando ti parrà, ci verrai. Vado a farmi subito le valige.

Esce furiosamente per l’uscio a sinistra. Livia resta in mezzo alla stanza; si copre il volto con le mani: sta un po’ cosí; finché, udendo picchiare all’uscio a vetri, in fondo, si scuote e cerca di nascondere le lagrime.

Livia. Chi è?

La cameriera entra con un biglietto di visita in mano e lo porge a Livia, che lo prende e legge.

Di’ che il padrone non c’è.

LA Cameriera. Gliel’ho detto. Ma vuol parlare col padre della signora, dice.

Livia (resta un po’ sopra pensiero, poi dice): Fallo passare.

Entra poco dopo Cesare D’Albis.

D’Albis (dalla soglia). Permesso?

Si fa avanti, s’inchina, porge la mano.

Oh, signora... Mi scusi se ho insistito... M’hanno detto che