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con forza, con sdegno:

io l’avrei scacciato!

Guglielmo (sbalordito). E allora proprio non ti capisco piú!

Livia. Forse non so dirtelo. Vedi, babbo: per l’odio ch’io sento dell’offesa ch’egli m’ha fatto, questa non sarebbe stata per me una soddisfazione. Se egli avesse abbandonato la figlia, perché convinto di non poterla piú mantenere, e fosse tornato a me, agli agi della sua casa, mi avrebbe fatto ribrezzo, orrore. Capisci, adesso?

Guglielmo. Come se quella fosse tua figlia! Va bene: se egli la avesse abbandonata per le considerazioni che tu dici... sí, posso anche comprendere... Ma se gliel’impongo io, ora?

Livia. Tu? E come puoi imporglielo tu?

Guglielmo. Ma non c’è mica bisogno che la abbandoni in mezzo a una strada. Si provvederà a lei, alla madre...

Livia. E ti pare ch’egli possa rinunziare, cosí, alla figlia, babbo?

Guglielmo. Ah, sí? Bel ragionamento! E debbo io permettere che sia abbandonata, invece, mia figlia? Che modo di ragionare è codesto? Sono padre anch’io, e mi difendo la mia figliuola!

Livia. Vedi dunque? È proprio lo stesso caso!

Guglielmo. No, cara, no. Non è lo stesso! Sarebbe lo stesso, se io non fossi tuo padre, ma il padre della sua amante, e pretendessi che per lei egli abbandonasse la figlia ottenuta dalla sua sposa legittima: che è un’altra cosa! ben altra! ben altra!

Livia. Parole, babbo! Come vuoi ch’egli faccia codeste distinzioni, quando non ha che una figlia sola?

Guglielmo (trasecolato). Ma che debbo vedermi anche questa, dunque? Che tu prenda le sue difese?

Livia (con un grido). Non lo difendo, né l’accuso! Io vedo me, babbo; quel che mi mancal Dove sono i figli è la casa! E qua, lui, figli non ne ha!

Guglielmo (commosso improvvisamente, accorrendo a lei ed abbracciandola). Povera figlia mia! povera figlia mia! Ah, dunque è per questo? E che colpa hai tu, se Dio non te n’ha voluto dare? Ah, è per questo! Tu dunque capisci che cosa vuol dire aver figli, e non ne hai! E perché allora non vuoi