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la ragione degli altri 1211


babbo, t’inganni! Tu sei convinto che fosse necessario quest’urto violento, questa spinta che sei venuto a dare a quell’apparenza di vita che ti dicevo... che si sorreggeva qua sul silenzio... Ebbene, io non avrei voluto, te lo confesso. E Dio sa se ho fatto di tutto perché non t’accorgessi di nulla. Non per altro, credi, ma perché so che... Non posso... non posso parlare...

Guglielmo. Come non puoi? Perché? Chi te lo proibisce?

Livia. Ma chi vuoi che me lo proibisca? Io stessa. Vedi, babbo: comprendevo bene, che tu, venendo a conoscere soltanto ora, dopo tanto tempo, ciò che è accaduto, quando la colpa è veramente finita, scontata, e ci sono soltanto come punizione per lui le conseguenze, dovessi credere ancora necessario, utile, il tuo intervento. Non può sembrarti tardi, insomma, a te, poiché vieni a sapere soltanto ora, tu. E non vedi piú lui come veramente è, ma come la sua colpa, conosciuta ora all’improvviso, inattesamente, te lo fa vedere; hai voluto ragionare con lui, fargli intendere la ragione: è naturale. Io sapevo invece ch’era inutile ormai. Inutile parlare, inutile ragionare... Ma scusa, che vuoi piú parlare? Non vedi come s’è ridotto?

Guglielmo (con infinito stupore, che gli toglie quasi la parola). Ma allora... ma allora... perdio... Io sbalordisco... Tu hai compassione di lui?

Livia. No, non compassione... ribrezzo... non so! L’ho veduto a poco a poco cadere cosí... avvilirsi... perché non può... vedi?... non può col suo lavoro... Un nodo angoscioso alla gola le impedisce per un momento di proseguire; ma riesce a dominarsi subito. Non sa piú come fare...

Guglielmo. Ma dunque tu speravi —?

Livia (subito). — nulla, no; non speravo nulla!

Guglielmo. Aspettavi, almeno, che...

Livia (subito). No, no!

Con fierezza:

Perché se egli fosse venuto qua a dirmi che per me aveva abbandonato la figlia in mezzo a una strada