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Al levarsi della tela Guglielmo Groa sarà sdrajato su la greppina con una coperta su le gambe, un giornale su la faccia. Sulla scrivania è ancora accesa la lampadina elettrica riparata da un mantino verde.
Entra Livia, vede il padre lí steso, tentenna lievemente il capo con un sospiro, poi va ad aprire gli scuri della finestra: entra la luce del giorno. Livia spegne la lampadina della scrivania e va a scuotere il padre.
Livia. Babbo... babbo...
Gli toglie il giornale dal volto.
Guglielmo (destandosi). Oh!
Tirandosi su, a stento, a sedere:
Livia. Hai dormito lí?
Guglielmo. No. Che dormire! È giorno? To’ to’ to’, ho dormito davvero! E tu?
Livia. Non è tornato.
Guglielmo. Tutta la notte? E tu, in piedi?
Livia. Son già le nove, babbo.
Guglielmo. Ah, sí?
Si alza, guarda l’orologio.
Resta assorto un pezzo.
Livia. Oh, è bastata una parola...
Guglielmo. Ma non gli ho detto nulla! Volevo che parlasse lui, anzi. Che gli ho detto io?
Livia. Nulla, babbo. Io dico: una parola qualunque. C’era un’apparenza di vita, qua, che si reggeva... cosí, sul silenzio. È bastata una parola... È crollata.