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la ragione degli altri | 1185 |
Osservando la busta:
Livia. Oh sí! Raspatura di gallina.
D’Albis. No. Forte, piena di... d’intenzione. E si vede: risponde a voi perfettamente. Mettiamola qua.
Livia. Io allora vado.
D’Albis. Come! E la domanda? Non permettete?
Livia. Dovrei andare veramente...
D’Albis. Breve breve. Aspettate.
Le si accosta; poi, piano, in tono confidenziale:
Livia (seria). Ma nient’affatto! Calmissima. Avete detto voi stesso che non sono venuta mai qua. E non sono mai andata appresso a mio marito.
D’Albis. E allora, scusate, vostro marito è uno sciocco! E appena viene, gl’insegno ciò che appresi un giorno da un mastino.
Livia. Ah, mi congratulo.
D’Albis. Le bestie? Che dite! I maestri migliori. Era legato, poveretto, alla catena confitta per terra, presso la cuccia. Ma esso se la... se la passeggiava, diciamo cosí, magnificamente, per quanto era lunga la catena, badando a voltarsi prima ch’essa gli desse la stratta al collo. Cosí non la sentiva, libero e contento nella sua schiavitú.
Livia. Sarei io, la catena?
D’Albis. Quel tanto di libertà che gli concedete. Catena lunga abbastanza, pare. Mi sembra però che lui non se la porti a spasso bene, o almeno con la filosofia di quella bestia intelligente. O forse la filosofia... Toglietemi un dubbio. S’è interdetto da sé, Leonardo?
Livia. Come sarebbe «interdetto»? Non capisco.
D’Albis. Dev’essersi impazzito... Vuole sul serio pagarsi i debiti (i suoi proprii, s’intende!) facendo il giornalista? Sarebbe da ridere, se non fosse un peccato. Perché, lasciamo andare, via: parliamo sul serio: Arciani è... è un artista. Seguitando cosí... Già non fa piú nulla da un pezzo! L’Incredula, per bacco, ha certe pagine... Vi ricordate?
Livia. Io non l’ho letta.