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Livia. Ma no, che scusa? Siccome voi, m’è parso, cercavate di tradurre gentilmente l’espressione... Ditemi pure orsa.

D’Albis. Senza nessun mistero?

Livia. Ma sí, senza nessun mistero.

D’Albis. Impossibile. Orsa, con codesti occhi, impossibile, senza che ci sia sotto, ben covato, un mistero.

Livia. Se lo dite voi...

D’Albis. Lo sanno tutti.

Livia. Ah sí? E che mistero allora? Curioso però che tutti saprebbero in me una cosa, che io non so.

D’Albis. Curioso? Che gli altri vedano in noi quello che noi non vediamo? Ma questo avviene sempre! Io non mi vedo, e voi mi vedete. Non possiamo uscire fuori di noi, per vederci come gli altri ci vedono. E piú viviamo assorti dentro, in noi stessi, e meno ci accorgiamo di quel che appare di fuori.

Livia. Oh Dio mio, e che appare in me?

D’Albis. Vedo i vostri occhi. E vedo che siete venuta qua.

Livia. Ma ve l’ho detto perché sono venuta; non c’è nessun mistero: so che deve venire qua mio padre e sono venuta a prevenirne mio marito. Sospettate voi, invece, che ci sia sotto un’altra ragione misteriosa.

D’Albis. Ma la vostra impazienza, io la vedo, voi non la vedete.

Livia. Perché non so come fare adesso... Potessi almeno incontrare mio padre...

D’Albis. Ritornerà presto, credo, Leonardo. Deve essere in tipografia. Aspettatelo. Ma favorite, meglio, in salotto. Dico salotto, per modo di dire. Siamo per ora qua in un attendamento provvisorio. Ma starete almeno un po’ meglio. Venite.

Livia. No, grazie. Sarà meglio che gli lasci un biglietto. Chi sa quando verrà... Ritornerò piú tardi, se mai. Ora gli scrivo.

D’Albis. Fate come vi piace.

Livia. E nel caso che mio padre venisse prima di lui?

D’Albis. Lo riceverei io. Avrò molto piacere di conoscerlo. So che è molto amico dell’onorevole Ruvo. Anzi avevo pregato Leonardo di condurlo qua, qualche giorno...

Livia. Sarà qui tra poco certamente. Ma se il vostro uscere,