![]() |
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. | ![]() |
Al levarsi della tela, la scena è vuota. Poco dopo s’apre l’uscio e Cesare D’Albis mostra dalla soglia la stanza vuota a Livia Arciani.
D’Albis. Ecco, vedete? non c’è. Prego.
Lascia passare Livia.
Livia. Ma sí, lo credo... lo vedo.
D’Albis. No, scusate: insisto; ho voluto darvi la prova, perché non abbiate a sospettare.
Livia. Ma io non sospetto. Per me, può ricevere chi gli pare e piace.
D’Albis. No, no! Al contrario! Ordine espresso, signora mia, di non introdurre mai nessuno.
Livia. E... posso aspettarlo qua?
D’Albis. Ah! Volete... volete aspettarlo?
Livia. No, se non posso.
D’Albis. Ma sí... perché no? Sí, che potete. Oh bella! oh bella! Voi diffidate.
Livia. Non diffido nient’affatto. Vedo che qua ci sono due scrivanie. Non vorrei incomodare.
D’Albis. Ma se non c’è nessuno! E poi, che dite incomodare? Voi non potete incomodare. È una fortuna! Non vi si vede mai! Siete... siete la donna del mistero...
Livia. L’orsa, già.
D’Albis (sorpreso, sconcertato). No... che!
Livia. So che mi si chiama cosí. E non me ne importa. Son orsa davvero. Lo dico perché lei...
Si corregge:
D’Albis (sorpreso, sconcertato). Vi chiedo scusa, se...