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modi — anche a costo d’un doppio sgarbo a mia moglie e alla mia figliuola — che la suocera venisse qua a parlare.

Ponza (prorompendo, esasperato). Ma che vogliono loro da me? In nome di Dio! Non basta quella disgraziata? vogliono qua anche mia moglie? Signor Prefetto, io non posso sopportare questa violenza! Mia moglie non esce di casa mia! Io non la porto ai piedi di nessuno! Mi basta che mi creda lei! E del resto vado a far subito l’istanza per andar via di qua!

Si alzerà.

Il prefetto (battendo un pugno sulla scrivania). Aspetti! Prima di tutto io non tollero, signor Ponza, che lei assuma codesto tono davanti a un suo superiore e a me, che le ho parlato finora con tanta cortesia e tanta deferenza. In secondo luogo le ripeto che dà ormai da pensare anche a me codesta sua ostinazione nel rifiutare una prova che le domando io e non altri, nel suo stesso interesse, e in cui non vedo nulla di male! Possiamo bene, io e il mio collega, ricevere una signora... — o anche, se lei vuole, venire a casa sua...

Ponza. Lei dunque mi obbliga?

Il prefetto. Le ripeto che glielo domando per il suo bene. Potrei anche pretenderlo come suo superiore!

Ponza. Sta bene. Sta bene. Quand’è cosí, porterò, qua mia moglie, pur di finirla! Ma chi mi garantisce che quella poveretta non la veda?

Il prefetto. Ah già... perché sta qui accanto...

Agazzi (subito). Potremmo andar noi in casa della signora.

Ponza. Ma no! Io lo dico per loro. Che non mi si faccia un’altra sorpresa che avrebbe conseguenze spaventevoli!

Agazzi. Stia pur tranquillo, quanto a noi!

Il prefetto. O se no, ecco, a suo comodo, potrebbe condurre la signora in Prefettura.

Ponza. No, no — subito, qua... subito... Starò io, di là, a guardia di lei. Vado subito, signor Prefetto; e sarà finita, sarà finita!

Uscirà sulle furie per l’uscio in fondo.