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Il prefetto. L’ho fatto chiamare, caro Ponza, per dirle che qua, coi miei amici...

S’interromperà, notando che il signor Ponza fin dalle sue prime parole avrà dato a vedere un gran turbamento e una viva agitazione.

Ha da dire qualche cosa?

Ponza. Sí. Che intendo, signor Prefetto, di domandare oggi stesso il mio trasferimento.

Il prefetto. Ma perché? Scusi, poc’anzi, lei parlava con me, cosí remissivo...

Ponza. Ma io sono fatto segno qua, signor Prefetto, a una vessazione inaudita!

Il prefetto. Eh via! Non esageriamo adesso!

Agazzi (a Ponza). Vessazione, scusi, — intende, da parte mia?

Ponza. Di tutti! E perciò me ne vado! Me ne vado, signor Prefetto, perché non posso tollerare questa inquisizione accanita, feroce sulla mia vita privata, che finirà di compromettere, guasterà irreparabilmente un’opera di carità che mi costa tanta pena e tanti sacrifizii! — Io venero piú che una madre quella povera vecchia, e mi sono veduto costretto, qua, jeri, a investirla con la piú crudele violenza. Ora l’ho trovata di là, in tale stato d’avvilimento e d’agitazione —

Agazzi (interrompendolo, calmo). È strano! Perché la signora, con noi, ha parlato sempre calmissima. Tutta l’agitazione, al contrario, l’abbiamo finora notata in lei, signor Ponza; e anche adesso!

Ponza. Perché loro non sanno quello che mi stanno facendo soffrire!

Il prefetto. Via, via, si calmi, caro Ponza! Che cos’è? Ci sono qua io! E lei sa con quale fiducia e quanto compatimento io abbia ascoltato le sue ragioni. Non è cosí?

Ponza. Mi perdoni. Lei, sí. E gliene sono grato, signor Prefetto.

Il prefetto. Dunque! Guardi: lei venera come una madre la sua povera suocera? Orbene, pensi che qua questi miei amici mostrano tanta curiosità di sapere, appunto perché vogliono bene alla signora anche loro.

Ponza. Ma la uccidono, signor Prefetto! E l’ho già fatto notare piú d’una volta!