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Ma lascia che parli io, ti prego.

Laudisi. Per me, figúrati! Anzi, se vuoi che me ne vada anch’io...

Agazzi. No no: è meglio che tu ci sia. — Ah, eccolo qua.

SCENA QUARTA

Detti, il Signor Prefetto, Centuri.

Il prefetto (sui sessanta, alto, grasso, aria di bonomia facilona). Caro Agazzi! — Oh, c’è anche lei, Sirelli? Caro Laudisi!

Stringerà la mano a tutti.

Agazzi (invitandolo col gesto a sedere). Scusami, se t’ho fatto pregare d’entrare prima da me.

Il prefetto. Era mia intenzione; come t’avevo promesso. Sarei venuto dopo, certamente.

Agazzi (scorgendo indietro e ancora in piedi il Centuri). Prego, Centuri, venga avanti; segga qua.

Il prefetto. Eh lei, Sirelli ho saputo! è uno dei piú accesi, dei piú agitati, per queste dicerie sul nostro nuovo segretario.

Sirelli. Oh no, creda, signor Prefetto, sono tutti agitati non meno di me, in paese.

Agazzi. È la verità, sí, agitatissimi tutti.

Il prefetto. E io che non so vederne la ragione!

Agazzi. Perché non t’è avvenuto d’assistere a certe scene, com’è avvenuto a noi che abbiamo, qua accanto, la suocera.

Sirelli. Perdoni, signor Prefetto, Lei non l’ha ancora sentita, questa povera signora.

Il prefetto. Mi recavo appunto da lei.

Ad Agazzi:

Ti avevo promesso che l’avrei sentita qua da te, come tu desideravi. Ma il genero stesso è venuto a pregarmi, a implorare la grazia (per far cessare tutte queste chiacchiere) che mi recassi in casa di lei. Scusate, vi pare che lo avrebbe fatto, se non fosse piú che sicuro che avrei avuto da questa visita la prova di quanto egli afferma?

Agazzi. Oh certo! Perché davanti a lui, quella poveretta —