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tranquillo a casa, tocchi di veder arrivare, tutta spavalda, cosí, «con gli occhi alti», una signorina che gli chiede del padre, a cui ha da dire non so che cosa; e poi la vede ritornare, sempre con la stess’aria, accompagnata da quella piccolina là; e infine trattare il padre — chi sa perché — in un modo molto ambiguo e «sbrigativo» chiedendo danaro, con un tono che lascia supporre che lui deve, deve darlo, perché ha tutto l’obbligo di darlo —

Il padre. — ma l’ho difatti davvero, quest’obbligo: è per tua madre!

Il figlio. E che ne so io? Quando mai l’ho veduta, io, signore? Quando mai ne ho sentito parlare? Me la vedo comparire, un giorno, con lei,

indicherà la Figliastra

con quel ragazzo, con quella bambina; mi dicono: «Oh sai? è anche tua madre!». Riesco a intravedere dai suoi modi

indicherà di nuovo la Figliastra

per qual motivo, cosí da un giorno all’altro, sono entrati in casa... Signore, quello che io provo, quello che sento, non posso e non voglio esprimerlo. Potrei al massimo confidarlo, e non vorrei neanche a me stesso. Non può dunque dar luogo, come vede, a nessuna azione da parte mia. Creda, creda, signore, che io sono un personaggio non «realizzato» drammaticamente; e che sto male, malissimo, in loro compagnia! — Mi lascino stare!

Il padre. Ma come? Scusa! Se proprio perché tu sei cosí — Il figlio (con esasperazione violenta). — e che ne sai tu, come sono? quando mai ti sei curato di me?

Il padre. Ammesso! Ammesso! E non è una situazione anche questa? Questo tuo appartarti, cosí crudele per me, per tua madre che, rientrata in casa, ti vede quasi per la prima volta, cosí grande, e non ti conosce, ma sa che tu sei suo figlio...

Additando la Madre al Capocomico

Eccola, guardi: piange!

La figliastra (con rabbia, pestando un piede). Come una stupida!