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Amalia (scattando, con orrore e pietà insieme). Ah, certo, povera signora, immaginiamoci!

Signora Sirelli (al marito e alla signora Cini). Ah, vuole dunque lei sentite? star chiusa a chiave!

Ponza (per troncare). Signor Commendatore, intenderà che io non potevo lasciar fare, se non forzato, questa visita.

Agazzi. Ah, intendo, intendo, ora; sí sí, e mi spiego tutto.

Ponza. Chi ha una sventura come questa deve starsene appartato. Costretto a far venire qua mia suocera, era mio obbligo fare davanti a loro questa dichiarazione: dico, per rispetto al posto che occupo; perché a carico d’un pubblico ufficiale non si creda in paese una tale enormità: che per gelosia o per altro io impedisca a una povera madre di veder la figliuola.

Si alzerà.

Signor Commendatore!

S’inchinerà; poi, davanti a Laudisi e Sirelli, chinando il capo:

Signori.

E andrà via per l’uscio comune.

Amalia (sbalordita). Uh... è pazza, dunque!

Signora Sirelli. Povera signora! Pazza.

Dina. Ecco perché! Si crede la madre, e quella non è la sua figliuola!

Si nasconde la faccia con le mani per orrore.

Oh Dio!

Signora Cini. Ma chi l’avrebbe mai supposto!

Agazzi. Eppure... eh! dal modo come parlava —

Laudisi. — tu avevi già capito?

Agazzi. No... ma, certo che... non sapeva lei stessa come dire!

Signora Sirelli. Sfido, poverina: non ragiona!

Sirelli. Però, scusate: è strano, per una pazza! Non ragionava, certo. Ma quel cercare di spiegarsi perché il genero non voglia farle vedere la figliuola; e scusarlo, e adattarsi alle scuse trovate da lei stessa...

Agazzi. Oh bella! Appunto questa è la prova che è pazza! In questo cercar le scuse per il genero, senza poi riuscire a trovarne una ammissibile.