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Laudisi. Ti pare che non concluda? Oh bella! Vi vedo cosí affannati a cercar di sapere chi sono gli altri e le cose come sono, quasi che gli altri e le cose per se stessi fossero cosí o cosí.

Signora Sirelli. Ma secondo lei allora non si potrà mai sapere la verità?

Signora Cini. Se non dobbiamo piú credere neppure a ciò che si vede e si tocca!

Laudisi. Ma sí, ci creda, signora! Però le dico: rispetti ciò che vedono e toccano gli altri, anche se sia il contrario di ciò che vede e tocca lei.

Signora Sirelli. Oh, senta! io le volto le spalle e non parlo piú con lei! Non voglio impazzire!

Laudisi. No, no: basta! Seguitate a parlare della signora Frola e del signor Ponza suo genero: non v’interrompo piú.

Amalia. Ah, Dio sia ringraziato! E faresti meglio, caro Lamberto, se te n’andassi di là!

Dina. Di là; di là, zietto; sí, vai, vai!

Laudisi. No, perché? Mi diverto a sentirvi parlare. Me ne starò zitto, non dubitare. Tutt’al piú, farò tra me e me qualche risata; e se me ne scapperà qualcuna forte, mi scuserete.

Signora Sirelli. E dire che noi eravamo venute per sapere... — Ma scusi: suo marito, signora, non è un superiore di questo signor Ponza?

Amalia. Altro è l’ufficio, altro la casa, signora.

Signora Sirelli. Capisco, già! — Ma loro non han neppure tentato di vedere la suocera qua accanto?

Dina. Altro che! Due volte, signora!

Signora Cini (con un balzo; e poi, tutta cupida e intenta). Ah dunque! Dunque loro le hanno parlato?

Amalia. Non siamo state ricevute, signora mia!

Sirelli, Signora Sirelli, Signora Cini. Oh! oh! — Come mai!

Dina. Anche questa mattina...

Amalia. La prima volta restammo piú d’un quarto d’ora dietro la porta. Nessuno venne ad aprirci, e non si poté neppure lasciare un biglietto da visita. — Abbiamo ritentato oggi...

Dina (con un gesto delle mani che esprime spavento). Venne ad aprirci lui!