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SCENA PRIMA

La Signora Amalia, Dina, Laudisi.

Al levarsi della tela Lamberto Laudisi passeggerà irritato per il salotto. Sui quarant’anni, svelto, elegante senza ricercatezza, indosserà una giacca viola con risvolti e alamari neri.

Laudisi. Ah, dunque è andato a ricorrere al Prefetto?

Amalia (sui quarantacinque, capelli grigi; contegno d’importanza ostentata, per il posto che il marito occupa in società. Lascerà tuttavia intendere che, se stesse in lei, rappresenterebbe la stessa parte e si comporterebbe in tante occasioni ben altrimenti). Oh Dio, Lamberto, per un suo subalterno!

Laudisi. Subalterno, alla Prefettura; non a casa!

Dina (diciannove anni; una cert’aria di capir tutto meglio della mamma e anche del babbo; ma attenuata, questa aria, da una vivace grazia giovanile). Ma è venuto a allogarci la suocera qua accanto, sullo stesso pianerottolo!

Laudisi. E non era padrone? C’era un quartierino sfitto, e l’ha affittato per la suocera. O ha forse l’obbligo una suocera di venire a ossequiare in casa

caricato, facendola lunga, apposta:

la moglie e la figliuola d’un superiore di suo genero?

Amalia. Chi dice obbligo? Siamo andate noi, mi pare, io e Dina, per le prime da questa signora, e non siamo state ricevute.

Laudisi. E che è andato a fare adesso tuo marito dal Prefetto?

A imporre d’autorità un atto di cortesia?

Amalia. Un atto di giusta riparazione, se mai! Perché non si lasciano due signore, li come due pioli, davanti alla porta.