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l’ironia comica nella poesia cavalleresca |
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dela, che non spiega un bel nulla». Come se di queste spiegazioni che non spiegano nulla non fosse piena tutta la letteratura popolare! E poi, se il paragone si trova già nell'Orlando, che c’entra la malizia del Pulci? Più sotto, a proposito della conversione di Fuligatto, osserva: «Già queste conversioni e questi battesimi — e per la loro rapidità e per la loro frequenza e per il troppo fervore dei neofiti — più o meno insospettiscono sempre». Ma se questo è uno dei tratti caratteristici, che dimostra appunto la puerilità della concezione religiosa nella epopea francese! Appena conquistata una città, i vincitori impongono agl’infedeli la conversione: chi si rifiuta, tagliato a fil di spada; e i battezzati diventano d’un tratto cristiani zelantissimi. Che c’entra il Pulci? A proposito dell’episodio d’Orlando motteggiato nel c. XXI dai ragazzacci della città, che il paladino attraversa su Vegliantino così mal ridotto, che non si regge in piedi, il Momigliano dice che il Pulci non sente la maestà cavalleresca, e poi nota: «Pel nostro poeta il riso è una delle grandi leggi, a cui tutti devono pagare il proprio tributo. Il Pulci, quindi, accenna ne’ suoi personaggi tanto i lati seri quanto i lati ridicoli, e li riduce a quando a quando ai limiti dell’umano. Così, in quest’episodio pare che egli prenda in giro Orlando, ma non è vero: un paladino invitto, col palafreno cascante — anche Vegliantino qui scade dalla dignità solita nei cavalli degli eroi — non è sottoposto ad una diminutio capitis, non s’avvicina un po’ al Cavaliere dalla trista figura? E questo non può accadere ad un paladino? Ma fate che gli s’avvicini un petulante a beffeggiarlo e vedrete che egli non è un Don Quijote, ma un paladino autentico: ecco in qual modo Orlando, abbassato per un momento, subito si rialza. Nella fonte c'è qualche cosa di molto simile (Orl. L. 30-37). Siam già vicini alla beffa, ma non l’abbiamo raggiunta ancora: