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vena di fonte alta. 361

sibile, di un platonico giudizio di appello. Delle proprie intenzioni nel caso che il giudizio riescisse favorevole all’Ospitale, nè scrisse nè intendeva parlarne all’avvocato.

Si recò alla Posta dopo le undici. Il cielo era minaccioso, le strade vuote risuonavano al suo passo nello scarso lume dei radi fanali accesi per la intera notte. Dalla Posta si avviò lentamente verso la Piazza Maggiore per un indistinto desiderio di pensare, tratto quel dado, al futuro nelle ombre della notte, in cospetto delle nuvole, fra i silenzi solenni di case dormenti, dove si sentiva più solo che nella propria camera. Aveva il senso di un imminente ingrandimento delle proprie sorti, d’una imminente, profonda trasformazione di sè, d’un prossimo compiersi dell’antico presentimento, d’un prossimo apparire della via prefissagli dall’Inconoscibile. Il cuore gli batteva, dilatato e forte, battiti di aspettazione avida incontro a questa volontaria uscita dalla ricchezza nella povertà, incontro alla dura, necessaria lotta per la vita, non disgiunta dalla lotta per l’idea. Un sottile piacere d’orgoglio gli tendeva tutte le corde del volere e dell’ardire. Si fermò serrando i pugni; avrebbe giurato che gli occhi gli lucessero. Ebbe allora il conscio senso di una essenziale deficienza di Jeanne come amante poichè amando piuttosto con lo spirito che con i