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212 capitolo quarto.

per effetto della naturale, comune debolezza umana gli si allentava la tensione dello spirito e altri pensieri lo traevano inconscio con sè, erano pensieri della famiglia sua che intera lo aveva preceduto nel mistero, parte per manifeste leggi di natura, parte per occulte leggi di sventura. Anime austere, anime gaie, anime tranquille, anime ardenti, erano tutte passate sulla terra con la fiaccola della fede, tutte partite con il presidio soave di Cristo; e nella semplice chiesina modeste lapidi ne ricordavano i nomi. Don Giuseppe aveva amato i suoi del più vivido amore, li aveva pianti appena con qualche rara lagrima tutta santa di affetto alla Divina volontà. Ora la sua mente si perdeva dietro care figure use tener sempre nella chiesina lo stesso posto. Si perdeva nella memoria del viso, degli abiti, delle attitudini, dei saluti sommessi nel luogo santo. Allora il senso del silenzio, del vuoto presente lo richiamava nella triste realtà e alla preghiera. Quindi gli s’infondeva nella preghiera un’aura delle persone nascoste ai viventi, un vago rimpianto di non averle forse appagate in qualche loro desiderio innocente nè ben taciuto nè ben detto, di non avere sufficientemente aperto loro le vie a qualche confidenza difficile, di non esservi ritornato il primo quando, aperta la via, ciò sarebbe stato bene. E da quest’ultimo ricordo trapassò senz’avvedersene,