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la sonata del chiaro di luna, ecc. 189

levano venire per far della musica in palese e della politica in segreto; un segreto di cui Luisa sola era a parte.

Anche dalla terrazza si gridava:

«Bene, don Basilio! — Bravo il fagotto!» E negli intervalli si udiva pure la voce di un signore che si schermiva dal tarocco; «No, no, Controlore gentilissimo, xe tardi, no ghe stemo più, no ghe stemo propramente più! Oh Dio oh Dio, La me dispensi, no posso, no posso; ingegnere pregiatissimo, me raccomando a Ela.»

Lo fecero poi giuocare, l’ometto, con la promessa di non passare le due partite. Egli soffiò molto e sedette al tavolino con l’ingegnere, Pasotti e Pedraglio. Franco sedette al piano e l’avvocato gli si mise accanto col fagotto.

Fra Pasotti e Pedraglio, due terribili motteggiatori, il povero signor Giacomo ebbe una mezz’ora amara, piena di tribulazioni. Non gli lasciavano un momento di pace. «Come va, sior Zacomo? — Mal, mal. — Sior Zacomo, non ci sono frati che passeggiano in pantofole? — Gnanca uno. — E il toro? Come sta il toro, sior Zacomo? — La tasa, La tasa. — Maledetto, eh, quel toro, sior Zacomo? — Maledetissimo, sì signor. — E la servente, sior Zacomo? «Zitto!» esclamò Pasotti a questa impertinente domanda di Pedraglio. «Abbiate prudenza. A questo riguardo il signor Zacomo ha dei dispiaceri da parte di certi indiscreti.» «Lassemo star, Controlore gentilissimo, lassemo star» interruppe