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la sonata del chiaro di luna, ecc. 179

larbetto!» e buttò via le carte anche lui. «Che reson de ciapà rabbia!» fece l’ingegnere. «Anca vü sii negher e sii minga güzz.» Il prete, avido della rivincita, si contentò d’invocarla sdegnosamente: «scià i cart, scià i cart, scià i cart!» E la partita, simbolo dell’eterna lotta universale fra i neri e i rossi, ricominciò.



Il lago dormiva oramai coperto e cinto d’ombra. Solo a levante le grandi montagne lontane del Lario avevano una gloria d’oro fulvo e di viola. Le prime tramontane vespertine movevano le frondi della passiflora, corrugavano verso l’alto, a chiazze, le acque grigie, portando un odor fresco di boschi. Il professore era partito da un pezzo quando Luisa ritornò. Ell’aveva incontrato sulla scalinata del Pomodoro una ragazza piangente che strillava «el mè pà el voeur mazzà la mia mamm!» Aveva seguita la ragazza in casa sua presso la Madonna del Romìt e ammansato l’uomo che cercava sua moglie con un coltello in mano, per causa non tanto d’una cattiva minestra quanto d’una cattiva risposta. Luisa rappresentò a suo marito e a don Giuseppe l’ultimo atto del dramma, il suo dialogo con la moglie ch’era corsa a nascondersi nella stalla. «Oh Regina, dovè sii? — Sont chì.