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la sonata del chiaro di luna, ecc. 177

piccola voce, con la quale prometteva ogni giorno alla sua benefattrice la stessa preziosa ricompensa: «Prima de morì ghe faroo on basin». Intanto il professore, pieno di scrupoli e di rimorsi per le sue mosse poco fortunate, non sapendo se partire o rimanere, se la signora ritornerebbe o no, se andarne in cerca fosse indiscrezione o no, dopo essersi affacciato al lago come per chieder consiglio ai pesci, dopo essersi affacciato al monte per veder se da qualche finestra della casa gli apparisse Luisa o qualcuno cui si potesse domandar di lei, andò finalmente a vedere il giuoco. Ciascuno dei giuocatori teneva gli occhi sulle proprie quattro carte raccolte nella sinistra, l’una sopra l’altra per modo che la seconda e la terza sormontavan tanto da potersi riconoscere; e ciascuno, avendo preso delicatamente fra il pollice e l’indice l’angolo superiore delle due ultime, faceva uscire con un combinato moto del polso e delle dita la quarta ignota di sotto la terza, adagio adagio, come se portasse la vita o la morte, ripetendo con gran devozione appropriate giaculatorie: Don Giuseppe, cui occorrevano picche «scappa ross e büta negher», gli altri due che volevano quadri e cuori «scappa negher e büta ross». Il professore pensò ch’egli pure aveva in mano una carta coperta, un asso di danari, e che non sapeva ancora se l’avrebbe giuocata o no. Aveva il testamento del vecchio Maironi. Pochi giorni dopo la morte della signora Teresa, Franco gli aveva detto di distruggerlo e di non fia-