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— Chi è dunque?
— È un ispettore di polizia, mio amico, che incontro tutti i giorni al caffè del Molo, ove sorveglia me prima, poi tutti gli altri che vi capitano. Parla con tutti e di tutto, anche del Giappone, delle scoperte nella luna di Herschell, della guerra delle Indie, della Rivoluzione del Belgio. I capitani di bastimento di tutte le parti del mondo, che vengono a quel caffè, non sanno la metà di quello che sa Fuina. Parla tutte le lingue. Credo che sia stato pirata.
— Non lo credo, disse Bruto. Un corsaro ruba ed assassina, ma non fa la spia.
— Ogni genere ha le sue varietà, ragazzo. In ogni caso, siccome io lo conosco da dieci anni, gli ho raccontato l’affare del sergente e della Giuseppina e gli ho pagato un sorbetto.
— Un pirata che prende un sorbetto! Alto là: l’avrei riconosciuto e rispettato se avesse preso un punch al vetriolo.
— Fuina prende tutto, quando non gli costa nulla, un caffè e panna, o un bicchierino di acido nitrico. Fatto è che, dopo avermi ascoltato con attenzione, riflettè un momento, tirò fuori di saccoccia un portafoglio molto sporco e prese alcune note. Poi mi disse: Verrai a trovarmi qui domani — questa mattina — e vedremo se c’è qualche cosa da fare.
— Ci sei stato, dunque?
— Ne vengo difilato.
— E ti ha detto?
— Nulla. Gli ho pagato una tazza di caffè con un bicchierino di rhum e l’ho seguito da lontano.