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di Don Diego e la sua, non disse neppur grazia, chiuse la porta con fracasso e discese le scale borbottando.

Don Diego restò come allampanato e, testa giù e passo lento, ritornò in sala.

A mezzodì meno un quarto, ei saliva la scala del commissariato del quartiere Pendino, al primo piano di una casa sudicia e scura, al fondo di un angiporto. Nella corte gironzavano alcuni di quei birri ostensibili che lo straniero incontrava nelle strade di Toledo e di Chiaja, bardati di uniforme, un coltellaccio ai fianchi. Gli sbirri reali, i veri, i più numerosi, coloro che menavano la bisogna nei quartieri cui lo straniero non visitava giammai, gli sbirri pel popolo infine, formavano quella categoria a parte chiamata i feroci. Essi vestivano un largo calzone di velluto in cotone grigio, largo, una giacchetta ed un corpetto di velluto di cotone nero, stretto alla vita da una fascia di seta rossa, un berretto di pelle di coniglio o di lontra. Questi manigoldi, che si sarebbero detti da Opera Comica, coi loro baffi neri, e le facce bestiali ed atroci, violenti, grossolani, crudeli, ai quali la vigliaccheria delle vittime dava un potere terribile, erano in realtà degli abbietti vigliacchi. Il primo venuto, — straniero ben inteso, — di un man rovescio ne faceva una pecora, malgrado le sacche piene di coltelli e di pistole e le mani armate di anella e di randelli. Questa roba guardava di un’aria truce le persone che entravano, pronta a stender la mano per dimandare una mancia senza pretesto, se colui che veniva in quella bolgia aveva un aspetto di persona comoda.