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si umettarono. Infine bisognò lasciare quella dimora.

Don Diego ne uscì il primo, a passo fermo ma celere. Non osò voltarsi indietro. Era eccessivamente pallido. Le sue mani ed i suoi labbri tremolavano; la sua parola era male articolata. Bambina fece il giro della casa, ne uscì a passi lenti; ma, varcando la soglia, le sue lagrime esplosero, il singhiozzo la soffocò. Si sentì annichilita. Le parve mettere il piede sul vuoto e rotolar nell’abisso. Il conte le prese paternamente la mano, le diede il braccio, e la tolse via da quella porta ove la era caduta a ginocchio. Don Diego era partito e tirava su senza fermarsi. Premeva la mano sul cuore per reprimervi la tempesta. Bambina, annegata nelle lagrime, disse addio al conte e salì in vettura. Don Diego si fermò un istante per susurrare all’orecchio del conte:

— Al capezzale del mio letto, sotto i mattoni, è la cassa dei mille fucili che sapete. Li farete trasportare a Cammarota, al P. Giuseppe da Saponara, che ne conosce già il destino ulteriore o che gli sarà comunicato a suo tempo da Carduccio. Coraggio e costanza! — Dite a Tiberio di esser prudente. Bisogna esporre la vita, ma non isciuparla per nulla.

— Sarà mia cura. Addio.

— A rivederci in tempi più prosperi.

Don Diego salì nel veicolo e si partì.

La carrozza veniva di Calabria. Vi erano nell’interiore un capitano di gendarmeria e la madre di un giovane di Gerace, che era stato con-