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un’altra, di rincontro, sul giardino: ambo si aprivano in una larga sala.

Il fumo aveva annerita questa stanza, la quale serviva nel tempo stesso di tinello, di cucina, di salone, di legnaia, di credenziera, di forno, di tutto — eccetto di camera da letto. Due altre cellucce, alle due estremità della sala, avevano questo ufficio. Due grossi alari di ferro sostenevano i ceppi del focolare dal vasto mantello ed impedivano ai tizzoni di rotolare sulla pignatta che bolliva innanzi al fuoco.

Un maiale terminava il suo pasto della sera in un angolo della sala. Esso brontolava, si avvicinava di tempo in tempo al camino ove andava a scomodare un cane steso tutto di lungo. E questo, così rimescolato da quel figliuolo viziato della casa, se gli slanciava alle orecchie, lo mordeva, e lo rimandava al suo truogolo. Un piccolo gatto grigio e macilento, mezzo cacciato nelle ceneri, sollevava allora la testa per contemplare il cattivo umore di quei signori, e spazzolava col suo zampino i suoi baffi un po’ arrostiti. Alcuni polli dormivano di già, accoccolati su degli stecchi al disopra del maiale. Ai neri assiti della sala pendevano ancora qualche brani del predecessore di questo animale petulante, ma esso non vi badava, perocchè, modesto come un seminarista, non levava giammai gli occhi al cielo a mo’ de’ poeti e dei devoti.

Al mantello del camino restava appeso traversalmente un archibugio a pietra, sur una fila di fusi, rigonfi dal filo di canape, cui la massaia di casa destinava alla confezione delle camice, e del-