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altre provincie, poco sicuri della lealtà della Basilicata, la considerarono solidale nell’iniquità dell’impura creatura che si era creato capo del Comitato, si credettero traditi, si credettero perduti, e loro tardò ritirare il piede da una cloaca, sulla quale la benedizione della libertà era caduta come sopra ad una carogna. Onta a te Potenza, onta eterna! Sulla tua fronte non potrà trovar luogo altro stigmata fuori di quello di fedele che ti hai meritato da Ferdinando Borbone; e questo stigmata, come il bubone della peste, uccide. Le guardie nazionali, che quivi da parecchi siti erano accorse, ritornarono fremebonde ai focolari nativi. Agitazione, propositi di vendetta, maledizione, ogni specie di bestemmia fu scagliata sulla città perfida, che per la sua indolenza si assimilava al perfido uomo, il quale aveva tronca la testa alla rivolta. Ma tutte le angosce, tutte le convulsioni e le determinazioni parziali languirono. Le altre provincie diffidarono, subirono la paralisi dell’isolamento. L’una cominciò a sperare nell’altra; nessuna volle risolutamente pigliare l’iniziativa: la collera si calmò: il primo bollore s’intiepidì. Allora la riflessione assunse le redini dell’azione, ed impose silenzio al cuore: il calcolo prevalse sull’affetto; la letargia invase la vita, e, se non l’estinse, l’agghiadò. Ma non l’agghiadò già nel Cilento, dove due settimane di poi le rivolture cominciarono novellamente, sotto l’impulso del Pessolani e del Caputi: non l’agghiadò nelle Calabrie, dove l’ira contro la monarchia può sonnacchiare talvolta, morire non mai.


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36. Le Calabrie non avevano certo fatto difetto all’appello alla vendetta che, pronunziato nella Camera dei deputati, aveva percorsa da un capo all’altro la