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vilipendj di quella infame giornata mi prometteva il tuo divino sorriso?

— Addio, sorella! — le diceva il giovane. — Questa che vedi è forma vuota, nè io posso stringerti la mano pietosa che tu mi porgi.... Tutto è finito! L’ultimo baluardo della nostra indipendenza è già in mano al nemico. Venezia è caduta! Se un disperato valore avesse potuto risparmiarle l’estremo fato, questi che son qui meco l’avrebbero salvata. Ma diversamente decretava Iddio.... forse perchè l’Italia non ha ancora espiate tutte le sue colpe. Ma se a noi non diede la vittoria, diede almeno il coraggio della prova, e sia benedetto il suo santo nome! Ora, quelle sembianze mortali che tu amasti, o sorella, giacciono fra le rovine di Marghera senza sepoltura cristiana, e forse le calpesta il barbaro piede del croato.... Io vado nel seno di Dio! Tu che rimani offri al Signore la tua vergine vita. E prega, prega, o sorella, che la generazione ventura, più di noi fortunata, possa redimere finalmente dallo straniero la nostra povera patria! —

Il dolore che queste parole le arrecarono, fu tanto e così forte, che le ruppe il sonno, e si trovò la faccia veramente bagnata di lacrime.

Appena si fece giorno le portarono una lettera del barone il quale le annunziava che Venezia aveva finalmente capitolato, e accennando all’ordine ristabilito e alla pace che ormai non poteva più essere turbata, esprimeva il desiderio ch’ella ritornasse a Gorizia; anzi, chiudeva la lettera col dirle che fra pochi giorni sarebbe venuto egli stesso a prenderla. Tutto quel dì e buona parte del susseguente ella rimase chiusa nella sua camera. Dopo avere preparato i bauli e messe in ordine le cose sue, si mise a scrivere e scrisse a lungo. Tanto era turbata, che la fattoressa