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perfino ad ungersi gli stivali coll’olio santo, perfino a far mangiare ai cavalli le particole consacrate! Io non ho veduto questi ultimi eccessi, ma vedo co’ miei occhi le pietre sepolcrali spezzate, vedo sull’altare e sulle sacre immagini le vestigia patenti della mano dei barbari; vedo rimasugli di quadri bruciati, ancora appesi intorno alle pareti del tempio, vedo gli stendardi e i pennoni che conservano ancora intorno al loro fusto qualche brandello di seta arsiccia scampata alle fiamme. Vedo scoperchiata al sole la stanza dove fu lasciato insepolto Antonio Busetto, un vecchio di settantanni che fu trucidato, perchè non rispose, essendo sordo, ai brutali che gli domandavano denaro. Vedo l’albero ai cui piedi molti giorni dopo l’invasione consumò il suo martirio il villico Antonio Nobile di Claujano. Alcuni soldati volevano forzarlo a bestemmiare il Pontefice. Egli credette dovere di religione di benedirlo invece. Allora fu spogliato nudo, legato a quel tronco e battuto tante volte sulla bocca quante egli gridava: «Viva Pio IX!» finché sotto quei colpi spirò.

Mentre scrivo di questi fatti, una turba di tapini mi circonda e chi mi addita la casa dove i soldati con le fiaccole appiccarono l’incendio, chi il luogo dov’era schierata la cavalleria colle armi abbassate ad impedire che i meschini fuggissero. Una vecchia mi siede accanto con un braccio rotto, col volto sfigurato da un colpo di calcio di fucile: è Maria Masini detta Fabbro, che essendo accorsa a implorare misericordia per un suo figliuolo, impotente da cinque anni, che battevano sul letto dove fu trovato, venne conciata in quel modo.

Questi ed altri mille, che la penna rifugge dal più oltre narrare, sono orrori che si spiegano, trattandosi