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118 l’osteria dei buoni amici.

tra volta. Tonino più s’accendeva: — Ancora un valzer, bellezza! — E ci si metteva tutto, col suo bel garbo di giovane di caffè, pettinato a ricciolini, dimenando il busto, le gambe che s’intrecciavano a quelle di lei, e sotto il naso quel petto che gli infarinava il vestito. — Mi lasci andare, caro lei, in parola d’onore. Ci ho lì il mio ballerino che mi ha pagato il costume, quel turco che fa gli occhiacci. Se vuol venire a trovarmi sa dove sto di casa, a San Vittorello; cerchi dell’Assunta.

Tonino, rosso come un gallo, gli avrebbe mangiato il naso a quel turco, anima sacchetta! L’Orbo, che gli stava alle costole non avendo altro da fare, lo calmava così:

— Finiscila, e andiamo a bere.

Là fuori aspettavano Marco il Nano e Basletta, masticando un mozzicone di sigaro, e colle mani in tasca. Per scaldarsi