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Gli antichi altrui sospetti e i fieri sdegni
Noti son troppo, e l’alta impresa nostra:
Or colui regge a suo voler le stelle,
E noi siam giudicati alme rubelle.
....... pro syderibus, pro luce serena
Nobis senta situ loca, sole carentia tecta
Reddidit, ac tenebris jussit torquere sub imis
Immites animas hominum, illætabile regnum
Haud superæ aspirare poli datur amplius aulæ.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
In partemque homini, nostri data Regia cæli est.
Ed invece del dì sereno e puro,
Dell’aureo sol degli stellati giri,
N’ha qui rinchiusi in questo abisso oscuro,
Né vuol che al primo onor per noi si aspiri.
E poscia (ahi! quanto a ricordarlo è duro!
Questo è quel che più inaspra i miei martiri)
Ne’ bei seggi celesti ha l’uom chiamato,
L’uom vile e di vil fango in terra nato.

Né qui sulla fine tralascierò (quantunque mi sia proposto di recarvi avanti i soli quattro Maestri sopra indicati) il facile Metastasio, che così bene tradusse que’ due distici di Tibullo, anzi che così bene li fece suoi.

Spes etiam valida solatur compede vinctum,
Crura sonant ferro sed canit inter opus.
Spes alit agricolas, spes sulcis credit aratis,
Semina quæ magno fœnere reddat ager.
Con me nel carcer nero
Ragiona il prigioniero,
Si scorda affanni e pene
E al suon di sue catene
Cantando va talor.