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ultimo il più bel furto che mai si facesse alla poesia da un poeta. È la descrizione del concilio dei demonj nel canto IV adunati per congiurare contro i Cristiani, che Torquato prese dalla Cristiade del Vida, poema latino da lui cominciato per eccitamento di Leone X e compito per esortazione di Clemente VII, Pontefici ambedue grandi mecenati della lingua latina, per cui l’Italia vide rinascere il bel secolo di Augusto. Cantò il Vida

Protinus acciri diros ad regia fratres
Limina (concilium horrendum) et genus omne suorum
Imperat. Ecce ingens igitur dat buccina signum,
Quo subito intonuit celsis domus alta cavernis,
Undique opaca ingens; antra intonuere profunda;
Atque procul gravido tremefacta est corpore tellus:
e Torquato Chiama gli abitator dell’ombre eterne
Il rauco suon della tartarea tromba:
Treman le spazïose atre caverne,
E l’aer cieco a quel romor rimbomba;
Né stridendo così dalle superne
Regïoni del cielo il folgor piomba,
Né sì scossa giammai trema la terra
Quando i vapori in sen gravida serra.
Continuo ruit ad portas gens omnis, et adsunt
Lucifugi cætus, varia atque bicorpora monstra,
Pube tenus facies hominum; verum hispida in anguem
Desinit ingenti sinuata volumine cauda;
Tosto gli Dei d’abisso in varie torme
Concorron d’ogni intorno all’alte porte;
Oh come strane! oh come orribil forme!
Quant’è negli occhi lor terrore e morte!
Stampano alcuni il suol di ferin’orme
E in fronte umana han chiome d’angui attorte,