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adoperare l’ingegno. Scorrete col guardo, dice il Perticari tutta la gran famiglia degli scrittori, e vedrete che quanti aspirarono ad una classica fama, e la ottennero, tutti posero studio nella imitazione de’ Latini. E giacché gli esempi sono lo specchio di tutte cose recherò qui alcuni luoghi più distinti de’ nostri classici italiani, ne’ quali la imitazione risplende de’ latini scrittori. Così potrò anche ristorarvi alquanto l’orecchio coll’armonia de’ loro versi immortali.

Come da Greci i Latini, così dagli uni e dagli altri ma spezialmente dagli ultimi seppero i classici nostri italiani con sapientissimo accorgimento cavare, come da ricca miniera, tesoro di bei pensieri e di frasi, e in guisa che sembra in molti luoghi non altro abbiano fatto che vestire d’italiche forme i latini concetti. E per dire alcuna cosa di soli quattro principalissimi maestri di lingua, e vissuti in tempi diversi, udite come Dante e Petrarca, Ariosto e Tasso sapessero delle spoglie del Lazio andar lieti e superbi.

Cominciamo dall’Alighieri. Confessò egli stesso aversi posto ad esempio in iscrivendo il gran Virgilio là dove a lui si rivolse cantando

Tu se’ lo mio maestro, e lo mio autore
Tu se’ solo colui da cui io presi
Lo bello stile che mi ha fatto onore.

E in fatti vedetene un breve saggio. Da lui apprende a ritrarre con due pennellate maestre il nocchier della livida palude. Udite:

......... Charon cui plurima mento
Canities inculta jacet: stant lumina flamma.
Un vecchio bianco per antico pelo
Che intorno agli occhi avea di fiamme ruote:

e le parole che mette in bocca a Caronte Virgilio le pone anche Dante,