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alla Divinità. Essa trae origine dal Principe degli Apostoli divinamente inspirato. La Chiesa sancì ne’ suoi canoni l’uso della lingua latina nella sua liturgia. I Romani Pontefici ne furono sempre i vindici ed i custodi. I Padri della Chiesa ne furono pure i conservatori gelosi, e i difensori invitti: poiché si mantiene con essa l’unità del rito della Chiesa, di cui una è la Fede, uno il Battesimo, e la Chiesa stessa è una. La divina provvidenza affidò a questa lingua il deposito sacro della fede, e gli oracoli dello Spirito Santo emanati dai Concilj, e dalla Santa Sede Apostolica. Per questa disposizione divina la lingua del mondo romano è divenuta quella dell’universo cattolico, e l’organo permanente della Chiesa immutabile come la religione non è punto soggetta a quelle variazioni che spessissimo snaturano le lingue; posta fuori della signoria degli uomini, la corruzione non valse mai ad oscurarne lo splendore. Una lingua variabile non sarebbe adattata ad una religione immutabile. Il movimento naturale delle cose attacca costantemente le lingue vive. La corrutela del secolo s’impadronisce ogni giorno di certi vocaboli, e per ispassarsi li corrompe. Ora se la Chiesa favellasse colla nostra lingua potrebbe dipendere da qualche sfrontato il rendere ridicola o indecente la più sacra parola della liturgia. Sotto qualunque siasi immaginabile rapporto adunque la lingua religiosa debb’essere sottratta al dominio dell’uomo. La guerra stessa che dopo Lutero fecero e fanno alla lingua latina i Protestanti ci fa conoscere di quanta importanza sia promuoverne lo studio, e difenderne la conservazione.

Ma tornando a guardare questa lingua divina coll’occhio semplicemente del letterato, se a buon dritto tanto ci alletta colla sua gravità, dolcezza, sonorità, leggiadria la presente Italiana favella, pur queste sue virtudi ella debbe in grandissima parte riconoscere dalla sua genitrice della quale ella rappresenta a

 
 
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