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è un legame misterioso di una forza immensa. Nulla pareggia poi la dignità della lingua latina. Fu dessa parlata dal popolo Re, il quale le impresse questo carattere di grandezza unica nella storia dell’umano favellare, e di che le lingue stesse le più perfette non hanno giammai potuto far uso. Il vocabolo maestà appartiene al latino. La Grecia lo ignora; ed è soltanto per la maestà che restossi al di sotto di Roma, tanto nelle lettere come nelle armi. Nata all’impero questa lingua impera tuttora nei volumi di quelli che la parlarono. È questa la lingua dei Romani conquistatori, e quella dei Missionarj della Chiesa Romana, conquistatori delle anime assai più gloriosi. Infatti Trajano, per cui fece l’ultimo sforzo la potenza romana, non potè frattanto estendere la propria lingua che fino all’Eufrate. Il Pontefice Romano l’ha fatta sentire alle Indie, al Giappone, alla China. La lingua latina è la lingua dello incivilimento. Armati di questa lingua gl’inviati del Romano Pontefice si portarono in traccia di quei popoli che più non venivano a Roma. Questi gli ascoltarono a parlare nel giorno del loro Battesimo, né più hanno quel linguaggio dimenticato. Si porti lo sguardo sopra un mappamondo; si segni la linea ove questa lingua universale si tacque; ivi pure sono i termini della civiltà e della fratellanza europea; al di là non si troverà che la spezie umana la quale per tutto fortunatamente s’incontra.

L’impronta Europea è la lingua latina. Le medaglie, le monete, i trofei, i sepolcri, gli annali primitivi, le leggi, i canoni, i monumenti tutti parlano latinamente. Farà dunque mestieri cancellarli, o non più oltre prestar loro l’orecchio? Lo scorso secolo che infierì sopra tutto ciò che havvi di sacro e venerabile, non risparmiò la guerra alla latinità. I Francesi che pretendono dar norma, dimenticarono presso che affatto un tal linguaggio, segue a dire il de-Maistre. Sono giunti a dimenticare se stessi fino al segno