Pagina:Pellegrino Rossi e la rivoluzione romana III.pdf/200

188 il processo di pellegrino rossi

io sento — e chiunque non sia destituito di senso morale deve sentire — che non si possono e non si debbono giustificare quei due assassinii, quantunque ambedue quei delitti agli occhi e alla coscienza dei due fanatici che li commisero sembrassero eroiche azioni.

Quindi in nessuna guisa può e deve essere giustificato l’assassimo di Pellegrino Rossi: e debbono essere biasimate le bizantine sottigliezze con cui, nel giornale L’Epoca, Michele Mannucci — se pure fu lui — cercò a quei dì condannare ad un tempo e nobilitare la uccisione dell’infelice Ministro.

Io credo fermamente che mandanti e mandatari dell’eccidio del Rossi abbiano, specialmente gli esecutori, creduto in buona fede, nel momento del delitto, di compire una bella e patriottica azione; ma credo altresì che, ad assassinio consumato, tutti sentirono fiaccata nell’animo proprio la primitiva convinzione, come lo dimostra ad evidenza il fatto che tutti, ordinatori ed esecutori, cercarono di allontanare da loro ogni responsabilità del compiuto misfatto.

Marco Giunio Bruto, che stimò sempre opera grande la uccisione di Caio Giulio Cesare, sempre se ne gloriò fino al giorno della sua morte e Carlotta Corday, che uccise Giovan Paolo Marat, se ne vantò come di opera patriottica ed umanitaria, al giudice che la interrogava rispondendo sinceramente: ho ucciso un uomo per salvarne centomila, uno scellerato per assicurare la vita a tanti innocenti, una fiera per dar pace al mio paese; ma con tutto ciò nè la magnanimità di Giunio Bruto, nè la virtù di Carlotta Corday poterono, dinanzi alla legge morale, purificare i due assassinii da loro compiuti.