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capitolo ventesimo 167

E la poca considerazione in cui quei supposti suoi meriti erano tenuti dalla maggioranza dei concittadini del Grandoni acuiva la irritabilità di questo e lo rendeva ombroso e diffidente.

I lettori hanno udito dire dal testimone Francesco Mattei che esso conobbe venti anni indietro — il che val quanto dire nel 1832 — alla cavallerizza di Cesarmi, Luigi Grandoni, detto allora Grandoníno, col quale però non ebbe mai a trattare, per cui se si incontravano il semplice saluto e non ricorda se con esso abbia più parlato.

Quel diminutivo Grandoníno, con cui i giovani coetani designavano il Grandoni, è di una eloquenza storica e illustrativa assolutamente meravigliosa. Esso scolpisce il Grandoni frequentatore della cavallerizza, dei ritrovi, della università, pieno di amor proprio e di presunzione, smanioso di segnalarsi e di elevarsi fra la gioventù ragguardevole, dalla quale non pare che fosse preso sul serio1.

Perchè è bene notare che, sia dai costituti di lui, sia dagli atteggiamenti suoi durante il comando del Battaglione Reduci, emerge evidentemente provato come Luigi Grandoni,

  1. Io ho raccolte molteplici testimonianze di onorandi patriotti, che conobbero di persona il Grandoni, per avere notizie della sua indole e del suo carattere.
       Il Colonnello Cavalier Angelo Berni, il Tenente Cavalier Giuseppe Benai, il Cavaliere Giulio Buti, il Colonnello Commendatore Angelo Tittoni, il Colonnello Conte Luigi Pianciani, il Maggiore Dottor Mattia Montecchi, il pittore Giovanni Costa, già ricordato, l’avvocato Francesco Giovagnoli adorato padre mio e il possidente e commerciante Giovanni Battista Speck — questi due ultimi Militi Civici nella Compagnia del III Battaglione in cui Luigi Grandoni era tenente — i quali tutti, purtroppo! non vivono più — tutti nove concordavano nel riconoscere il patriottismo e la probità del Grandoni, ma tutti nove, dal più al meno, concordavano altresì nel giudicarlo uomo di corta levatura di ingegno, dotato di grande presunzione e tutti, un po’ più, un po’ meno, ammettevano i difetti e le bizzarie del suo carattere.
       Tre di quegli uomini onorandi, il Berni, il Tittoni e il Costa lodavano la fermezza e il coraggio del Grandoni; e tutti, ritenendolo tenero dal punto d’onore, escludevano assolutamente la possibilità che egli fosse informato della trama ordita contro la vita di Pellegrino Rossi, concordi nel reputarlo incapace dell’attribuitogli misfatto.
       E circa il carattere del Grandoni, nella difesa di lui, l’avvocato Pietro Gui disse e lasciò scritto: Si rammenti che le stesse stravaganze fatte da quest1 uomo, dal primo giorno che è entrato in carcere, sono una prova della sua buona coscienza.